Nelle stazioni ferroviarie ci sono più di un centinaio di modi per sapere che ora è. C’è il grande orologio digitale che sovrasta, tipicamente, l’ingresso principale, quelli d’epoca ancora funzionanti nei vari binari e quelli piccoli in ogni tabellone che indichi le partenze. Nella stazione centrale di Bologna ce n’è però uno che è fermo. E no, non perché qualcuno ha dimenticato la manutenzione. Quell’orologio all’entrata ovest è immobile perché deve rimanere tale. Nessuno l’ha spostato. Segna le 10.25 da ormai 40 anni.
È una mattina come tutte le altre sui binari. Qualcuno corre per prendere il treno dell’ultimo minuto, qualcun altro, in anticipo, sorseggia un caffè e legge le ultime notizie sui giornali. Gli orologi però corrono perché, si sa, i treni non aspettano nessuno. Eppure nella sala d’aspetto della seconda classe, il tempo rallenta, quel treno che aspetti da tutta mattina sembra non arrivare mai. La lancetta dei secondi continua a rincorrere quella dei minuti e, dopo tanta fatica, ecco che la raggiunge facendo scoccare i 25. Le 10 e 25. Chissà se quella lancetta si sarebbe fermata un secondo prima sapendo cosa sarebbe successo.
23 kili di esplosivo inghiottono l’ala ovest della stazione che cade giù come fosse di carta. Frammenti di macerie volano ovunque ferendo tutti i presenti compresi quegli stessi orologi colpevoli di non aver fermato il tempo.
È il 1980. Anni di piombo, anni di stragi. La città di Bologna sta crescendo, si allarga e si allunga verso le periferie e i servizi non reggono la velocità del progresso. Nei primi anni ’70 i cittadini bisognosi di un’ambulanza avevano a disposizione vari numeri di telefono fissi ma, non essendoci un vero coordinamento, in determinati incidenti potevano ritrovarsi più ambulanze come nessuna. Una lungimirante collaborazione con il CePIS – Centro di Pronto Intervento Sanitario, proprio in quegli anni, aveva permesso una velocizzazione dei soccorsi. Ed è proprio grazie all’autorevolezza acquistata negli anni che i soccorsi si concentrano tutti nel ferito viale della stazione.
Gli eroi di quel giorno sono molti. Persone comuni che, ritrovatisi in una situazione così tragica, hanno afferrato il coraggio a quattro mani e hanno aiutato come più potevano. Storica è la vicenda dell’autobus 37 che inizialmente trasportò i feriti fino all’Ospedale Maggiore, poi, vista la gravità trasportò i morti nei vari obitori della città. Restaurato e tornato in moto, l’autobus 37 è l’ennesimo testimone silenzioso di quegli orrori. Così come i tassisti che portarono feriti, familiari agli ospedali all’andata e chiunque potesse essere d’aiuto nel viaggio di ritorno. Guidarono tutta notte, ore e ore, per riuscire a condurre i passeggeri il più lontano possibile da quel piazzale.
Nell’attentato alla Stazione di Bologna morirono 85 persone. Uomini, donne, bambini, anziani. Su oltre 200 feriti, 85 nomi rimasero incastrati tra quei detriti. Nomi che ora risplendono lungo via Indipendenza in un percorso commemorativo e simbolico. “Sanpietrini della memoria” è un’iniziativa nata da Cantiere Bologna, 6000 Sardine e Cucine Popolari in collaborazione con il Comune di Bologna e l’Associazione tra i Familiari delle Vittime della Strage alla Stazione di Bologna del 2 agosto 1980. Un’installazione permanente che parte da Piazza del Nettuno fino a Piazza Medaglie d’Oro, sul lato sinistro della strada, uno a distanza di 13 metri dall’altro. Come camminassero ancora per le strade di quella Bologna che li ha visti lavorare, innamorarsi e infine morirci.
Il fascino, se si può chiamare tale, di queste stragi improvvise e devastanti è il segno indelebile che hanno tracciato nella vita di una nazione intera. Ogni italiano ricorda esattamente cosa stava facendo quella maledetta mattina del 2 agosto alle 10.25. Pensa e ripensa a quel viaggio o a quell’appuntamento di lavoro che magari aveva rimandato, al cambio turno chiesto con insistenza per avere libera la prima quindicina dell’ultimo mese d’estate.
Pensa alla decisione di partire a inizio agosto per evitare il traffico ferroviario di metà mese. Di scegliere il treno piuttosto che la macchina perché chissà quanto sarebbe costato il parcheggio. Di prendere un caffè o di non prenderlo perché magari faceva troppo caldo. Pensa alla scelta di depositare un ordigno destinato a uccidere. A quel boato che ha squarciato l’aria e un silenzio che si è incastrato nelle ossa di chi aveva due anni piuttosto che trenta o cinquanta. E si continua a chiedere perché.
I processi sui colpevoli della strage alla Stazione di Bologna sono ancora incorso. Negli anni sono state date tante risposte ma non è mai stata detta l’unica verità che i familiari delle vittime, l’intera città e tutta l’Italia voglio sentire. Si continua a indagare e a cercare affinché in futuro si possa non ripetere un tale gesto folle. E si ricorda.
Ogni anno l’Associazione tra i Famigliari delle Vittime della Strage alla Stazione di Bologna 2 agosto 1980 organizzano più di 200 interventi nelle scuole riportando testimonianze di chi ha partecipato ai soccorsi o è sopravvissuto. Storie delle conseguenze riportate da chi è cresciuto in quegli anni: il terrore di prendere un treno o anche solo avvicinarsi alla stazione, la paura dei rumori forti e improvvisi, il timore delle persone. Tutto questo per riuscire a far capire a chi non ha vissuto quelle ore l’orrore che si è schiantato d’improvviso su Bologna. Per far in modo che si tramandi e che non si dimentichi quel disastro che ha macchiato le strade irreversibilmente e che non sarà mai un capitolo chiuso.
Bologna, 2 agosto 2021
Eleonora Poli