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I migliori giorni

di Luigi Ercolani


Diceva il premio Nobel per la Letteratura Elias Canetti che la festa è la meta, e che viviamo nella prospettiva del giorno di festa. E, d'altronde, la celebrazione di un determinato evento è un'usanza che l'essere umano ha stabilito sin dalle origini. Cosa succede, però, se la tradizione degenera in una stanca consuetudine al punto da perdere memoria del significato originale?

Tale domanda è proprio il punto da cui parte il film girato a quattro mani da Edoardo Leo e Massimiliano Bruno. I due attori-registi selezionano quattro feste, tutte appartenenti al periodo invernale, e confezionano un lungometraggio corale di altrettanti episodi in cui il principale filo conduttore è l'ipocrisia e la retorica che accompagnano tali celebrazioni, vissute in maniera consumistica e svogliata, e ridotte dunque a gusci vuoti.

Natale, Capodanno, San Valentino e la Festa della Donna sono le vere protagoniste della pellicola, che però diventano antagoniste nel momento in cui sono vissute senza lo stato d'animo giusto. Tutti i personaggi messi in scena da Leo e Bruno hanno dei lati negativi. Possiedono anche dei pregi, come è naturale che sia, ma essi vengono costantemente sopravanzati dal tornaconto personale, dalla necessità di lavarsi la coscienza, dal doppiogiochismo o dal semplice istinto della rabbia.

Può sembrare, in apparenza, un film pessimistico, salace nei confronti di chiunque festeggi e abbia polvere nascosta sotto al tappeto, scheletri nell'armadio, o fuoco che cova sotto la cenere in attesa del momento propizio per divampare. In realtà I migliori giorni lancia, senza fare sconti, un monito che ogni persona sarebbe tenuta a raccogliere e a fare suo: la festa è un momento di gioia, di sospensione delle fatiche del quotidiano, e viverla in maniera aggressiva o, ancora peggio, falsa, drena ogni linfa da essa e prepara la strada a pericolosi regolamenti di conti.

I fratelli Alessandro e Luca, l'imprenditore Bruno Amenta con il suo ex-autista Alberto, la coppia composta da Gianni e Sonia, Margherita e il suo storico collaboratore Paolo: tutti questi personaggi, con i loro drammi, comunicano in maniera decisamente inequivocabile allo spettatore che solo con l'atteggiamento giusto, quello fatto di vera comprensione e perdono, di aiuto reciproco, di solidarietà disinteressata verso il prossimo, di sincerità volta al bene altrui, è possibile costituire rapporti armonici con i propri affetti. Senza tali premesse, viceversa, la vita quotidiana diventa un motivo trascinato di rancore che sfocia, poi, in atteggiamenti ipocriti o di violenza, verbale e fisica in egual misura.

In questo contesto, inoltre, i due registi non si dimenticano di offrire anche un'analisi sulle pressioni sociali che girano intorno alle ricorrenze. Una visione lucida, e drammaticamente attinente alla realtà: una realtà in cui i rapporti umani sono ridotti al minimo perché nessuno ha tempo, e in cui dunque le feste assumono l'aspetto di passaggi obbligati. L'invito, anche in questo caso, è quello di rivivere ad ogni festa lo spirito caratteristico, e se possibile anche interrogarsi su di esso senza lasciarsi condizionare da convenzioni sociali che finiscono per irregimentarne il significato, smarrendo quindi la libertà e la gioia che sono, in fondo, il sale di ogni festa.

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