Di Lorenzo Meloni In piena sintonia con il vento di rinnovamento che soffia a Hollywood, l'Academy ha salutato l'esordio dietro la macchina da presa dell'attrice e sceneggiatrice Greta Gerwig in maniera a dir poco calorosa, candidandola - quinta donna nella storia - alla miglior regia. Nonostante ciò, e nonostante la bontà della prova, il suo Lady Bird è la conferma che si è trattato dell'edizione degli sceneggiatori, della parola scritta. Si va da film come The Post di Spielberg - il miracolo tipografico che mette al muro Nixon - ai maestosi Dunkirk e La forma dell'acqua, che malgrado le apparenze contano tanto sulla solidità di scrittura; dai premiati Get Out e Call me by your name alle raffinatezze del drammaturgo "laureato" Martin McDonagh in Tre manifesti a Ebbing, Missouri.
Anche Lady Bird rivela al pubblico soprattutto un'abile sceneggiatrice, in linea con il clima progressista comune a tutti gli altri film (sì, compreso Dunkirk) ma più coraggiosa nell'esplicitare un altro tema trasversale: il sentimento ambivalente, di conflitto ma anche di amore filiale, verso le radici e il passato. Racconta la storia di Christine "Lady Bird" McPherson (una stupenda, esilarante Saoirse Ronan), adolescente vivace ma inquieta che condivide con la sua autrice la città natale ("chiunque abbia mai parlato di Edonismo della California non è mai stato a Sacramento") nel cui clima puritano si sente soffocare, visto anche che l'indigenza della famiglia le lascia ben poca corda per i viaggi della sua fantasia. Lady Bird vorrebbe volare via.
Ma Gerwig - una laurea in letteratura all'attivo - ha bisogno di ampliare lo sguardo sulle cose e per farlo, come dicevamo, non teme il confronto con il passato; ad esempio citando in apertura un testo cardine nella costruzione della moderna identità americana, saga familiare e canto proletario per antonomasia: Furore (1939) di John Steinbeck, adattato l'anno successivo (il '40) dall'altrettanto inestimabile John Ford in uno dei suoi massimi capolavori. Lady Bird è sorellina ideale dell'eroe di Steinbeck Tom Joad, vero e proprio "fantasma della libertà" che nei decenni non molla la presa sul cuore degli Stati Uniti, tanto che ad esempio Springsteen gli dedicò una celebre canzone (The Ghost of Tom Joad, 1995); il suo idealismo, il suo fremito, il suo esodo verso una terra promessa lontana dall'orrore della Depressione si ritrovano, traslati ma fondamentalmente identici, in Lady Bird. Ed ecco il punto: per lei la sua California è la prigione da cui fuggire, andando "magari a New York, comunque nella East Coast"; e qual'era la terra promessa cercata a costo del sangue dalla famiglia Joad? La California.
Le radici insomma potranno essere una trappola, ma se lasciare il nido è un istinto insopprimibile - un grido di vita - è anche vero che proprio tornandovi troviamo noi stessi e di conseguenza la nostra libertà. Il bulicame puritano di Sacramento genera mostri (disoccupazione, svogliate prospettive di maternità, anti-abortismo da televendita USA) ma anche amici, amore, famiglia. Gli "eroi" sono una suora con il senso dell'umorismo e un reverendo che piange a comando, un rocker anarcoide modellato sul personaggio steinbeckiano dell'eversivo ex-predicatore Casy e un primo amore "cattolico irlandese" (come John Ford). Rafforza quest'idea di un'eversione che guarda alle origini il tema reiterato del nome, la parola per eccellenza, quella che - scelta da qualcun altro per noi - dovrebbe identificarci per tutta la vita in modo soffocante e che quindi si abbandona proiettando innanzi a sè un'identità altra, solo nostra..per poi scoprire al momento opportuno le profonde affinità. E se vi sembra contraddittorio rileggete l'elenco dei film all'inizio con in mente parole come "Storia", "passato", "tradizione"...
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