Odeljenje za Zaštitu Naroda, alias Ozna.
Così si chiamava il Dipartimento per la Protezione del Popolo, la polizia politica del regime titista jugoslavo.
Tra il ‘43 e il ‘47 l’Ozna portò a termine la pulizia etnica nei Balcani nord-occidentali, tra le attuali Slovenia e Croazia: trecentomila profughi ‘esodati’ e una cifra mai precisata di assassinati. Le stime parlano di un numero fra i tremila e i diecimila.
Erano Italiani, colpevoli di vivere da oltre mille anni sulla costa orientale dell’Adriatico e nelle aree immediatamente a ridosso. Quelle terre dovevano essere slavizzate, la Jugoslavia del Maresciallo Tito non poteva correre il rischio di una fronda interna, imperniata su una comunità nazionale potenzialmente supportata dal paese confinante e avverso. La presenza italiana in Slovenia, Istria e Dalmazia doveva essere estirpata. E furono le foibe.
Molto si è discusso in Italia su questa drammatica vicenda e l’oggettività dei fatti è stata a lungo subordinata all’interpretazione politica. La destra, dai nostalgici del fascismo alle tendenze liberal-nazionali, ha accentuato il carattere genocidiario delle foibe, sottacendo il nesso fra le atrocità perpetrate dall’Ozna e le precedenti politiche di italianizzazione forzata condotte dal regime fascista in quelle terre.
La sinistra comunista viceversa, anche quella italiana, ha teso sempre a politicizzare gli eventi, contestualizzandoli all’interno delle vicende della guerra partigiana antifascista e sminuendone, o addirittura negandone la portata.
Le foibe sarebbero state una mera – e giusta – ritorsione dei comunisti jugoslavi verso le politiche slavofobe dei fascisti. Al di là della vendetta, a loro avviso quell’azione fu comunque necessaria nel quadro delle trattative in corso sulla divisione dell’Europa nel dopoguerra. Molti comunisti italiani fiancheggiavano infatti l’aspirazione russo-jugoslava di estendere i confini del socialismo di Stato fino a inglobare il Friuli e l’area giuliana.
In quella temperie divenne luogo comune, nell’una e nell’altra parte, identificare tout court gli Italiani con i fascisti e gli Slavi con i comunisti. Lo scontro politico tracimò quindi ‘naturalmente’ in scontro etnico. Sono dinamiche frequenti nelle zone miste, coabitate da più nazionalità, quando vengono coinvolte e travolte dalle guerre. Sono semplificazioni grottesche che ingenerano e alimentano le più orrende atrocità.
L’Europa Occidentale ha fatto tuttavia tesoro della crudeltà delle guerre e delle loro code velenose, avviando un progetto di pacifica convivenza dentro i confini dell’Ue. Grazie ad esso oggi Tirolesi, Valdostani, Corsi, Tedeschi, Polacchi ecc., si riconoscono reciprocamente come titolari di pari dignità, collaborano e valorizzano le rispettive culture e identità nazionali. E, dalla fine del secolo scorso, sotto l’egida dell’Ue, anche in Slovenia, in Istria e nell’area giuliano-dalmata si stanno superando gli odii della prima metà del Novecento.
Così, il 30 marzo 2004, previa l’approvazione da parte delle Camere, il Presidente della Repubblica Italiana, Carlo Azeglio Ciampi, promulgò la legge istitutiva del 10 febbraio come Giornata della Memoria delle Foibe.
L’art. 1 così recita: “La Repubblica riconosce il 10 febbraio quale ‘Giorno del ricordò al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale”.
Attenzione però, non dimenticare quella pulizia etnica non deve significare rinfocolare gli odii di quel tempo, magari con spirito revanscista. Ricordare deve significare affermare con forza e convinzione il valore della convivenza pacifica tra i popoli.
In collaborazioni con "Gli amici di Fitel Emilia Romagna", grazie del suo contributo a
Luigi Gravagnuolo
Saggista, già sindaco di Cava de’ Tirreni
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