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Il libro delle soluzioni

di Luigi Ercolani

Tra le tante frasi, di tante insigni personalità, che hanno provato a descrivere la genialità, quella forse più centrata ed incisiva appartiene ad Albert Einstein: “Il genio è 1% talento e 99% lavoro duro”. Ed in effetti che il guizzo estemporaneo non basti da solo per portare dei risultati, ma che serva al contrario una continuità nel tempo che orienti ed accompagni l'intuizione personale, è una verità che conosce chiunque sia stato chiamato a guidare delle persone.

Michel Gondry, nel suo ritorno sul set ad otto di distanza dall'ultima volta, porta invece in scena l'esatto opposto, ovvero le dinamiche che si creano quando il genio non è supportato da un impegno costante, ma è solo frutto di uno sbrilluccichio dal destino effimero. Marc Becker, il protagonista di Il libro delle soluzioni, è questo, e molto altro: un uomo ricco di immaginazione ma eccentrico, introspettivo ma allo stesso tempo drammaticamente incapace, a causa di un individualismo portato all'estremo, di comprendere come rapportarsi nel modo più giusto con gli altri, dando anche ad essi i giusti meriti di un lavoro, quello della realizzazione di un film, che in fondo rimane profondamente d'equipe.

Chiuso a doppia mandata nel suo mondo, dove l'unica cosa che conta è la sua ferma volontà di dare concretezza a sprazzi intuitivi senza nessi logici tra loro o con il lungometraggio a cui sta lavorando, Marc trascura totalmente l'importanza delle relazioni con gli altri. Così facendo risulta però vanesio, stressante, egoista ed incapace di assumersi una responsabilità che sia una, specie nei momenti in cui le cose non vanno e bisognerebbe serrare i ranghi e rimboccarsi le maniche per giungere ad un risultato.

Il protagonista ha, invece, sempre qualcuno o qualcosa al di fuori di sé da incolpare, o sempre una intuizione da seguire che possa fungere da scusa per non mettersi concretamente al lavoro, delegando in questo modo i compiti al suo team ed irritandosi se l'esito non lo soddisfa. Che poi, per un motivo o per un altro, alla fine ogni tanto la fortuna gli sorrida e lo porti a fare dei passi in avanti nel lavoro, è solo un paradosso che Gondry ha verosimilmente inserito per mettere in guardia sul fatto che, essendo la fortuna sostanzialmente cieca, anche una cicala che passa il proprio tempo solo a cantare può arrivare ad un risultato.

La bravura del regista parigino sta anche nell'aver disegnato un personaggio principale che è amabile e detestabile allo stesso tempo. Il suo essere creativo, dinamico ed appassionato avvicinano Marco allo spettatore tanto quanto il suo atteggiamento infantile lo allontana, creando una frattura tra l'affetto per un uomo che sta inseguendo un sogno artistico ed il biasimo per come non si accorge che sta ricevendo supporto da chi è intorno, che invece ne riceve indietro unicamente una serie di frustrazioni.

È altresì probabile che Gondry, nella definizione del suo protagonista, abbia messo molto (e speriamo non tutto) della sua esperienza come regista, e forse anche di quella sua stessa personalità che lo ha portato a seguire tale vocazione. In fondo, pur esacerbato nel modo sopra descritto, Il libro delle soluzioni, potrebbe anche una sorta di atto di dolore dell'artista, stretto tra una visione più ampia rispetto all'uomo comune e l'avvilimento per non riuscire a comunicare quest'ultima in un modo efficace o rispettoso di chi il medesimo talento, invece, non lo possiede.

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