di Matteo Lolli
È triste essere come lui, un bambino nel mondo dei grandi, sempre un bambino, trattato dai grandi come qualcosa di divertente e di noioso; e non poter usare quelle loro cose misteriose ed eccitanti, armi e donne, non potere far mai parte dei loro giochi. Ma Pin un giorno diventerà grande, e potrà essere cattivo con tutti, vendicarsi di quelli che non sono stati buoni con lui: Pin vorrebbe essere grande già adesso, o meglio, non grande, ma ammirato o temuto pur restando com’è, essere bambino e insieme capo dei grandi, per qualche impresa meravigliosa. Ecco, Pin ora andrà via, lontano da questi posti ventosi e sconosciuti, nel suo regno, il fossato, nel suo posto magico dove fanno il nido i ragni.
All’inizio del 1944 un giovane ventenne di buona famiglia sanremese si unisce alla divisione partigiana “Garibaldi” che opera sulle Alpi liguri per prendere parte all’ultimo anno della guerra di Liberazione. Quel giovane si chiama Italo Calvino, e l’esperienza in questione sarà la fonte d’ispirazione primaria del suo romanzo d’esordio, scritto di getto dopo la fine della guerra e pubblicato nel 1947 col titolo Il sentiero dei nidi di ragno.
Lo stesso Calvino, divenuto ormai uno scrittore affermato e di successo, a quasi vent’anni dalla pubblicazione scrisse un’importante prefazione al romanzo in cui parlò del fatto che nel dopoguerra si imponesse per gli scrittori della sua generazione la necessità di creare una grandiosa ed iconica “letteratura della Resistenza”, e ripercorse così la genesi del suo primo lavoro: «A me, questa responsabilità finiva per farmi sentire il tema come troppo impegnativo per le mie forze. E allora, proprio per non lasciarmi mettere in soggezione dal tema, decisi che l’avrei affrontato non di petto ma di scorcio. Tutto doveva essere visto dagli occhi d’un bambino, in un ambiente di monelli e vagabondi. Inventai una storia che restasse in margine alla guerra partigiana, ai suoi eroismi e sacrifici, ma nello stesso tempo ne rendesse il colore, l’aspro sapore, il ritmo…». Ed è esattamente quel che troviamo nella trama del Sentiero dei nidi di ragno: il protagonista è Pin, un bambino orfano e scapestrato che, abbandonato totalmente a se stesso, bazzica il mondo dei grandi con fare sfacciato e diffidente al tempo stesso, desideroso di poter essere considerato un loro pari (e perciò insolente e scontroso, ben lontano insomma dal prototipo del “bimbo innocente”) ma finendo spesso ignorato e deriso per la sua ingenuità (questa sì tipicamente “bambinesca”). Dietro alla figura di Pin, sempre in bilico tra infantilità e disincanto adulto e tremendamente solo nella sua sofferta ricerca di punti di riferimento, si affaccia la Storia: e Storia, per un racconto che l’autore ambienta negli anni del conflitto civile, significa guerriglia partigiana, clandestinità, fughe improvvise, agguati, rifugi di fortuna, un onnipresente senso di precarietà e pericolo…
Per Pin tutto questo incomincia quando, fomentato dagli adulti che frequenta presso l'osteria della sua cittadina (in cui è riconoscibile la Sanremo dell'autore), riesce a rubare a un soldato tedesco cliente della sorella prostituta una vecchia pistola: per il bambino, esaltato dal suo possesso grazie a cui si sente finalmente “grande” e importante, l'arma diventa un tesoro inestimabile che decide di nascondere vicino a un fossato «dove fanno i nidi i ragni» (così sostiene nella sua fantasia bambinesca), un luogo ai suoi occhi fiabescamente incantato e lontano dalle brutture della vita reale e degli adulti ingrati. Sulla strada del ritorno viene però bloccato da una pattuglia di tedeschi e portato in carcere, dove fa la conoscenza del giovane e audace partigiano “Lupo Rosso” che, rocambolescamente, lo aiuta a fuggire. Pin a questo punto entra in clandestinità, incontra un omone malinconico e solitario che si fa chiamare “Cugino” e in sua compagnia giunge al distaccamento guidato dal "Dritto", un bizzarro e sbandato gruppo di partigiani nascosti tra i monti liguri e facenti parte di una più ampia brigata (ispirata alla stessa divisione "Garibaldi” in cui aveva militato Calvino).
Il cuore del racconto è tutto nella spontaneità, infantile e scapestrata insieme, con cui gli occhi di Pin guardano il mondo partigiano e le sue difficoltà e incomodità, qui figurate in una banda partigiana goffa e sbandata che per Pin costituirà una strana ed avventurosa compagnia. La brillantezza di questo romanzo consiste proprio nella scelta di Calvino di trattare il tema della Resistenza «di scorcio», attraverso una prospettiva originale e inedita che mette a contatto due mondi opposti: quello della vitalità infantile di Pin, ingenua e “briccona”, e quello sanguinoso della guerra. Il risultato è doppiamente soddisfacente: nell’immagine di un bambino costretto a crescere troppo solo e troppo in fretta e a contatto con una realtà violenta e cinica, gli orrori della guerra risultano non attenuati ma al contrario ulteriormente messi a nudo; dall’altro lato, “l’anima nobile” della lotta partigiana è ritratta non in chiave idealizzata o agiografica ma nella sua realistica e logorante crudezza in modo che, proprio come voleva Calvino, il racconto ne restituisca un'immagine estremamente fedele ed "umanizzata".
Il sentiero dei nidi di ragno è il primo biglietto da visita di un autore che a 23 anni mostra già il talento, la finezza d’intelletto e l’originalità che ne segneranno la carriera negli anni successivi, rendendolo un punto di riferimento imprescindibile della letteratura del secondo Novecento nonché un vero e proprio "classico moderno". Ma tutto è partito da qui, dal piccolo e insolente Pin e dalla sua pistola rubata a un ufficiale nazista.