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L'ultima luna di settembre

Aggiornamento: 30 ott 2023

di Luigi Ercolani


Uno dei conflitti filosofici irrisolti, antico quasi quanto la coscienza stessa dell'umanità, è quello tra passato e futuro, tra guardare avanti e guardare indietro, tra conservazione e progresso. Su tale conflitto si basano agone politico, gestione economica, orientamento tecnologico e diverse altre questioni che, per così dire, pizzicano le corde del cervello dell'essere umano, lo stimolano al dibattito ed, in questo modo, gli permettono di non far impigrire quelle che Hercules Poirot chiamava “celluline grigie”.

È da tali premesse che prende l'abbrivio il racconto di L'ultima luna di settembre, piccola perla cinematografica proveniente dalla Mongolia. Il ritorno alla terra d'origine di Tulgaa, un uomo ormai totalmente immerso nella modernità, per curare il padre moribondo, è infatti l'innesco di una storia che anzitutto si impegna a srotolare di fronte agli occhi dello spettatore una landa scarsamente popolata, uno di quei luoghi che per fortuna non sono stati completamente invasi da Google Maps e YouTube, e che quindi costringono ancora a farsi raccontare.

Ma se la disabitudine del protagonista alla vita di campagna ben presto viene in un qualche modo colmata, a rappresentare una costante spina nel fianco sono le dinamiche della stessa campagna. Tornando ai luoghi d'origine dopo aver assaggiato il benessere, infatti, Tulgaa si scontra con problematiche che tanto per lui quanto per lo spettatore sono in realtà questioni date per scontate, come l'alfabetizzazione o il ricorso alla tecnologia ove ce ne sia bisogno.

Allo stesso tempo, tuttavia, il personaggio principale trova nel giovane Tuntuleei un fattore di crescita personale. L'uomo, pur adulto, si mette infatti volentieri in ascolto del ragazzino, ben più abituato alla vita di campagna, il quale in una sorta di baratto riceve quella figura prima amicale, e poi di fatto genitoriale, che gli manca: nasce così un interscambio benefico tra i due, che arrivano ad essere complementari, e a colmare i reciproci bisogni, consci ed inconsci.

Alla genitorialità assolutamente causale e temporanea, ma positiva, di Tulgaa si oppone invece quella negativa della madre, assente e disinteressata alle sorti del figlio. Quest'ultimo vive infatti con i nonni, i quali, pur amorevoli e protettivi verso di lui, lo educano tuttavia con una certa severità, altro aspetto che coglie di sorpresa tanto il protagonista quanto chi guarda, ed è circondato da altri personaggi di dubbia affidabilità.

L'ultima luna di settembre è quindi un lungometraggio che porta a fare i conti con realtà che nel mondo benestante sono considerate un passato ormai definitivamente archiviato, mentre in altre zone del mondo sono ancora un presente concreto, con tutti i pro e i contro che ciò chiaramente rappresenta. Questo film mongolo invita quindi lo spettatore ad aprire una finestra nella dimensione dello spazio per scoprire un'attualità che per lui è in realtà anche un salto in un tempo che non ha visto, ma che gli è stato raccontato in famiglia o potrebbe aver visto in una qualche ricostruzione storica. Uno sguardo su valori e abitudini che gli agi della modernità hanno piano piano affievolito, ma che in altre zone del mondo restano vive, rappresentando per le comunità persino una sorta di collante.


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