di Luigi Ercolani
Ciò che perdiamo nel progressivo svilupparsi dell'età adulta è quel senso di scoperta, quel disagio misto a curiosità che permea la meraviglia di fronte a qualcosa che non conosciamo Con il suo nuovo film Luca Lucini, regista di Tre metri sopra il cielo (2004) e Amore, bugie e calcetto (2008), porta lo spettatore di fronte al sé stesso più puro e nostalgico, ricordandogli le sensazioni che l'essere umano prova di fronte al nuovo.
Questo scavare dentro l'anima avviene anzitutto a livello individuale. Tramite la tematica della scoperta del sesso e della passione febbrile per le star scambiata per sentimento puro, dell'amore incontestabilmente profano e dell'illusione dell'amore sacro che ne protagonista, Tiberio, si mescolano, la storia rievoca infatti quel momento di passaggio, tipico dell'essere umano, dall'età dell'innocenza ai primi vagiti di quella che sarà poi la maturità personale.
Ad un livello più ampio ciò succede tuttavia anche a livello sociale, collettivo. Il contrasto tra la vita di campagna che la famiglia del giovane si lascia alle spalle all'inizio del lungometraggio, e quella di città che troverà lungo tutta la narrazione, è una scoperta di nuovi ritmi, nuove dinamiche, ed allo stesso tempo di un confronto con ciò che è estraneo, che rappresenta prima un disagio, poi un'accettazione ed infine un'opportunità. Non tutto, però: anche il pensiero puro, infatti, può venire negativamente orientato da una forma mentis sbagliata, intransigente o cinica, persino perversa a volte, e bisogna quindi anche saper distinguere le occasioni, cogliendo quelle propizie ed evitando ciò che invece è infausto.
In questo senso il regista milanese è molto preciso nel dichiarare, attraverso la narrazione, che lo sviluppo individuale è inevitabilmente influenzato dal contesto sociale e culturale che circonda la persona, e questo tanto nell'ambito “micro” del nucleo famigliare, quanto in quello “macro” che riguarda vicinato, scuola, tempo libero. In questo modo stabilisce, per giunta, un ulteriore rapporto di ascendenza del secondo nei confronti del primo.
Come Fabrizio De André in Bocca di rosa, infatti, Lucini contorna la tematica sessuale che coinvolge Tiberio con un contesto ambiguo, dominato dall'ipocrisia di chi predica bene in pubblico ma razzola male nel privato, di chi mai si dimostra apertamente disposto al confronto, preferendo invece un chiacchiericcio a distanza mentre di persona, invece, offre solo finti sorrisi. L'oggetto del contendere, nella fattispecie, è l'apertura di un cinema porno è nel Veneto più profondo, quello che è stato a lungo definito come “la sagrestia d'Italia”: anche se alcune dinamiche possono essere percepite come eccessivamente caricaturali, è verosimile pensare che, lì come in altri luoghi che hanno il medesimo approccio, la sala a luci rosse abbia realmente rappresentato una fonte di malcelata inquietudine, di insoddisfazione a mezza bocca.
Il film, in questo senso, mette in guardia lo spettatore. Per non scadere in comportamenti che feriscono il prossimo, per non lasciarsi prendere dall'ossessione della buona reputazione, dello status, del successo, del consumismo fine a sé stesso l'unico modo è quello di mantenere quell'approccio aperto al mondo e senza preclusioni caratteristico della giovinezza.