di Lorenzo Meloni
Diciamo anche noi la nostra sul live-action più sfortunato della recente mandata Disney, e che per ironia della sorte era stato anche il più atteso. I primi trailer del film di Niki Caro mostravano infatti squarci di cinema bellico in costume che avevano fatto ben sperare chi non ha mai digerito la politica di remake e reboot adottata negli ultimi anni dalla Casa del Topo. Il fascino di questo secondo Mulan è stato però da subito ambiguo: se da una parte le evoluzioni con la spada dell’eroina erano un richiamo appetitoso ai fasti del wuxiapian (film cinesi di arti marziali) un po’ spariti dai radar occidentali dopo la breve esplosione di popolarità provocata da La tigre e il dragone (2000), dall’altra c’era il timore che lo scopo dichiarato di sbancare il mercato cinese – il cui conservatorismo mal si sposa con l’agenda progressista seguita dal colosso americano negli ultimi anni – costringesse Disney a rivedere in senso più retrivo proprio il film che storicamente aveva segnato i maggiori spostamenti in termini di rappresentazione delle diversità sessuali, denunciando la natura interessata e di facciata di chi per le giuste cifre di botteghino non guarda in faccia neanche ai propri classici.
Già, perché il Mulan del 1996 non è solo un capolavoro di narratività esplosiva e felice gusto avventuroso, ma anche il film Disney che più di tutti ha sfidato le convenzioni dell’eteronormatività imperante nel cinema mainstream, proponendo spunti e riflessioni che oggi diremmo appartenere a una sensibilità “fluida”: un film sul travestimento (della donna in uomo ma anche il contrario, come nella travolgente sequenza dell’intrusione dei tre soldati nel palazzo imperiale); un film in cui l’eroe maschile iniziava a innamorarsi di Mulan – sì, d’accordo, in realtà una donna – quando ancora la credeva il soldato Ping; un film, e questo è ovvio da sempre a casa Disney, in cui era vitale sentir di corrispondere al proprio Riflesso (come dice la bellissima canzone) e se l’immagine di brava figlia e moglie ci andava stretta, si poteva rubare l’armatura di nostro padre, partire soldati e “salvare casomai la Cina”.
Il problema col nuovo Mulan si misura allora in rapporto a entrambe le aspettative, una positiva e l’altra negativa, che aveva saputo suscitare: per quanto riguarda la forma, il film si pone effettivamente in contatto con la tradizione wuxia, di cui eredita i colori sgargianti e il gusto per un’azione iperbolicamente stilizzata, oltre a ospitare nel cast nomi illustri del genere come Jet Li (nei panni dell’Imperatore) e Donnie Yen (il comandante dell’armata imperiale). Purtroppo però l’impressione finale è di una stinta via di mezzo fra il gusto disneyano recente degli altri live-action, tendenzialmente improntato a un uso piatto, freddo e massiccio della cgi, e il senso di straordinaria vividezza e “presenza” visiva che quei film pur così irrealistici sanno da sempre creare; maestri di azione marziale non ci si inventa, come purtroppo confermano quasi tutte le scene d’azione/battaglia di questo remake, sempre invariabilmente vuote e poco interessanti, mentre autentici maestri di atletismo e coreografia come Yen restano inspiegabilmente sottoutilizzati.
L’altra nota dolente, per non sembrare snob, potremmo porla in termini (così cari a Disney e ai personaggi di questo film) di “tradizione”. È la tradizione cinese che Mulan ovviamente omaggia, rifacendo stavolta con più fedeltà una delle sue celeberrime leggende popolari. E lo fa nella maniera più ossequiosa e untuosa possibile, ripescando facilmente la vena populista/familista/monarchica di altri suoi film (entrambe le versioni di Il Re Leone). Ma, appunto, Disney possiede la propria tradizione, e che all’interno di essa, celebrato come uno dei capolavori del cosiddetto Rinascimento degli anni ‘90, accanto a tutte quelle storie di riabilitazione della lesa maestà si fosse fatto largo anche un film fieramente atipico nei contenuti di costume come quello diretto una ventina di anni fa da Tony Bancroft e Barry Cook, bè, questo è un fatto che rende dolorosa la genuflessione del nuovo Mulan forse ancor più del suo essere giunta in un momento così poco onorevole della storia cinese (sono già molte le polemiche sulle posizioni conservatrici di parte del cast nei giorni delle proteste a Hong Kong). Poteva essere una ventata d’aria fresca, invece sa terribilmente e pericolosamente di stantìo.
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