di Luigi Ercolani
“Non si può trasformare questa fede in una concezione superstiziosa del miracolo, come se si potessero provocare automaticamente i miracoli. Non si possono dispensare ricette a buon mercato”. In queste parole di Joseph Raztinger, che si trovano nel libro-intervista Dio e il mondo: Essere cristiani nel nuovo millennio (Peter Seewald, 2001, San Paolo Edizioni), è racchiusa in nuce la questione di senso che il film The Miracle Club pone in essere.
Al centro di tutto sono infatti quattro protagoniste che sono in attesa di un segno. Le ragioni personali che portano tutte a cercare una risposta dal Divino sono le più diverse, dal perdono per peccati del passato alla riconciliazione con esso, da questioni di salute all'intervento per un problema che non si sblocca. Il punto di partenza in comune è tuttavia uno: una realtà che tace, e che non offre alcuna sponda per la risoluzione di una situazione che risulta essere fonte di particolare angoscia.
Lo sbocco pare quindi essere quello della ricerca che vada oltre il piano meramente sensoriale, concreto. Tuttavia, come diceva anche il grande teologo bavarese prima di salire al soglio pontificio, tale forma mentis comporta il rischio di trasformare la Fede in una Superstizione, o comunque di aspettarsi una sorta di interscambio magico: io ti do il mio tempo, le mie energie, il mio credo in un luogo che ha avuto una forte presenza del Divino, e tu Dio in cambio esaudisci la mia richiesta.
Una ricetta a buon mercato, appunto, che però mostra tutti i suoi limiti. Va da sé, infatti, che nel momento in cui ci si accosta al Divino sperando in un miracolo ed esso non avviene, subentra nell'individuo lo scetticismo. Prima sotto forma di frustrazione, poi di irritazione, si giunge infine alla sfiducia e financo all'incredulità, nella convinzione di aver posto la propria speranza in qualcosa che, in fin dei conti, non era razionalmente pensabile o concretizzabile.
L'errore, come detto, è la concezione del miracolo come baratto tra Dio e l'essere umano. Questo perché il miracolo è sì intervento del Divino che opera al di sopra delle leggi naturali, ma sempre nella prospettiva della realizzazione di un piano specifico che Dio ha in mente per ogni essere umano, chiedendo ad esso di aderire individualmente ma lasciandogli sempre, in ogni caso, la possibilità di rifiutare.
Valga, in questo senso, la spiegazione che Cristo offre ai farisei in occasione della guarigione del cieco nato. I suoi interlocutori, sempre in quell'erronea ottica di causa-conseguenza che caratterizza l'approccio superstizioso al Divino, chiedono a Gesù chi abbia commesso un peccato perché il pover'uomo sia nato cieco, e la risposta è spiazzante: “Né lui ha peccato, né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le grandi opere di Dio” (Gv 9,3). Sintetizzando, si potrebbe trarre da tali parole la considerazione, valevole anche per le protagoniste di The Miracle Club, che le prove a cui veniamo quotidianamente sottoposti facciano parte di un disegno più grande di cui siamo chiamati a far parte, anche se non lo comprendiamo in toto.
Ed in effetti, da questo punto di vista, il viaggio a Lourdes compiuto dalle quattro protagoniste non si rivela affatto infruttuoso. Esso libera infatti una serie di piccoli miracoli quotidiani prima impensabili, che testimoniano che, più che attraverso prodigi che fanno sensazionalismo, il Divino agisce soprattutto in maniera invisibile, ma alquanto concreta.
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