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Anton Cechov

di Luigi Ercolani

Lei ragiona come un uomo sazio. Lei è sazio, e perciò indifferente verso la vita”. Per la sua complessità e profondità di riflessione, l'ampia opera di Anton Cechov non può essere certo sintetizzabile in un'unica battuta, specie se estrapolata dal contesto.

È tuttavia significativo che il dialogo in cui questa frase trova spazio sia stato poi a sua volta ripreso da un altro autore, ovvero quel Nanni Moretti che lo inserisce in un momento di pura meta-recitazione nel suo Habemus Papam del 2011. In questo film, il suo protagonista, il cardinale Melville interpretato da Michel Piccoli, sta facendo un bilancio della sua vita prima di decidere se accettare o no il ministero petrino, e proprio in questo momento particolare ha luogo il dialogo che contiene, appunto, questa affermazione.

Se Moretti sceglie di citare Cechov in questo momento specifico è proprio perché l'autore russo ha offerto un contributo notevole al pensiero esistenzialista, pur se interpretandolo in maniera davvero peculiare. Invece di mostrare i momenti salienti della vita dei suoi personaggi, infatti, Cechov è solito rappresentarne un intervallo temporalmente specifico, senza però dare una chiusura netta o stabilire una precisa morale. Se lo ritiene opportuno, sarà lo spettatore a ricavarla da sé, in base a ciò a cui assiste.

Forse è proprio questa sospensione del giudizio che ha affascinato Réné Feret, il quale ha portato sul grande schermo la vita dell'insigne drammaturgo russo attraverso, per giunta, una narrazione di stampo marcatamente cechoviano. Il regista francese ha infatti escluso qualsiasi cornice diegetica, non introducendo il protagonista all'inizio e limitandosi ad alcune didascalie finali, così da riprodurre fedelmente la summenzionata struttura.

Feret ha tuttavia dovuto anche discostarsi dai canoni della produzione di Cechov, in quanto essi prevedono l'assenza sia di un unico personaggio principale e sia di momenti significativi, che avvengono fuori dallla scena. Fisiologico, visto che in questo caso al centro non c'era una riflessione sulla vita in senso stretto, ma il racconto della biografia di un autore, il quale quindi diventava automaticamente un protagonista, con una fine situata temporalmente. Allo stesso tempo, pur partendo in medias res, serviva anche un innesco, un fatto che fornisse un input alla narrazione, e il regista ha scelto la proposta di pubblicazione fatta ad Anton dall'editore Aleksey Suvorin e dal critico Dmitrji Grigorovic.

Da quest'opera che è allo stesso tempo cechoviana e anti-cechoviana, dunque, emerge un Cechov diviso tra la sua missione di medico e la sua passione per la scrittura. Un rapporto, questo tra i suoi due talenti, a volte fruttifero, a volte drammatico, che però mette in risalto il trasporto con cui il personaggio principale si dedica ad entrambe le attività, le quali alimentano reciprocamente le rispettive prolificità.

Ciò avviene perché, pur se per certi versi antitetiche (una scientifica, l'altra umanistica) entrambe hanno come punto snodale la vita, una vita che viene salvata nella medicina o donata ai personaggi attraverso la letteratura. Cechov,da questo punto di vista, restituisce la bidimensionalità non solo del protagonista, ma anche dell'essere umano, impegnato nel quotidiano a rendere complementari la sua anima materiale e quella spirituale.




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