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Valentina Petrillo: in gara per sconfiggere i pregiudizi

Aggiornamento: 22 mar

Il 25 novembre si celebra la giornata contro la violenza sulle donne. Secondo i dati diffusi dal ministero degli Interni le vittime di femminicidio sono 105 nel 2023 (dato in continuo aggiornamento) e sono in crescita del 7 per cento rispetto allo scorso anno. Il giorno successivo, 26 novembre, si celebra il Transgender Day Of Remembrance (giornata del ricordo delle persone transessuali uccise nel mondo, Tdor). Tra il 1° giugno 2021 e il 30 giugno 2022, l’Osservatorio nazionale contro le discriminazioni nello sport ha documentato ben 211 casi di discriminazione. La vicinanza delle due date rende particolarmente interessante la testimonianza di una persona che vive su di sé la doppia condizione di donna transgender e di sportiva esposta alla violenza e alla discriminazione.

valentina petrillo
Valentina Petrillo

Parliamo di Valentina Petrillo, più volte intervenuta su questi temi, alla quale Fitel Emilia Romagna ha rivolto alcune domande. Ricordiamo che Valentina Petrillo, nata a Napoli nel 1973, ha iniziato a dedicarsi all’atletica leggera da giovanissima. Dopo aver interrotto la carriera a 14 anni a causa di una malattia che l’ha resa ipovedente, ha ripreso l’attività all’età di 41 anni. Nel 2019, in seguito alla vittoria di undici titoli nazionali, ha iniziato la transizione per cambiare definitivamente sesso diventando, per tutti, Valentina. Nel 2020 ha partecipato, come prima atleta transgender, ai campionati italiani paralimpici di atletica leggera nella categoria femminile. Ma non sono mancate le polemiche. Nel 2015 il Comitato Olimpico aveva stabilito che, abbassando i livelli di testosterone, le atlete transgender avrebbero potuto partecipare alle competizioni femminili. Nonostante la dichiarazione, però, sono continuate le prese di posizione da parte di chi ritiene avvantaggiate le atlete che conservano la struttura fisica e biologica maschile, arrivando a denunciare una vera e propria discriminazione nei confronti delle donne.


“Preferisco essere una donna più lenta, ma felice, che un uomo più veloce ma triste”. Questa frase penso che ti rappresenti molto. In quanto donna transgender e punto di riferimento nel mondo dello sport, ti senti una fonte d’ispirazione all’interno della comunità LGBTQI+?


Valentina: Sto affrontando l’evoluzione di questo ruolo nel tempo, da cinque o sei anni circa. E mi sono fin da subito scontrata con la realtà. Innanzitutto nel mondo dello sport perché, quando ho iniziato ad affrontare il mio percorso, volevo continuare a praticarlo senza vergogna, e mi ero un po’ illusa. La realtà in cui opero, anche se ci si limita agli spazi, non è molto inclusiva. Ci vuole coraggio per affrontare la cura ormonale che arriva ad avere conseguenze anche sulle prestazioni fisiche. Poi devi affrontare il fatto che hai a che fare con un corpo nuovo, che corre in modo diverso da quello di prima. Ci sono tanti limiti, tanti vincoli. Il mondo sportivo è molto chiuso e quando trovi solo porte in faccia la risposta più facile sarebbe quella di lasciare tutto. Ma questo non deve succedere. Bisogna parlarne e far conoscere le difficoltà che la comunità trans affronta ogni giorno nel mondo sportivo. Finora se ne è parlato poco e male, modificando i concetti a favore di chi conduce il discorso e aggirando le vere questioni.


Cosa rispondi a chi ti accusa di vincere a causa della sua struttura fisica e biologica?


Valentina: Mi accusano di avere un vantaggio competitivo. Capisco che ci possano essere dei dubbi, delle perplessità sul fatto che io gareggi con le donne. Rispondo che non esiste uno standard di corporatura maschile e uno standard di corporatura femminile. Non è dichiarato da nessuna parte. Non è vero che bisogna avere certe caratteristiche per essere donne, ad esempio essere più alte di un metro e ottanta. Diciamo che la conformazione fisica non dovrebbe rappresentare uno standard di giudizio. Occorrerebbe svincolarsi da certi canoni per i quali esiste un certo tipo di corpo maschile e un certo tipo di corpo femminile. Sono concetti astratti che ci accompagnano fin dall’infanzia e che, all’origine, sono dettati da una società impostata in un certo modo. Ad esempio siamo abituati a pensare che le persone di colore eccellono solo in determinati sport. Si tratta di pregiudizi di ordine culturale, anche se alcuni dati, ad esempio il fatto che l’uomo medio sia fisicamente più forte di una donna media, sono inconfutabili. Inoltre bisogna considerare che, a partire dal mondo del lavoro fino al mondo dell’agonismo del quale faccio parte, le opportunità per gli uomini, anche dal punto di vista contrattuale, sono visibilmente maggiori rispetto quelle di una donna. Solo dallo scorso anno le cose hanno cominciato a cambiare un po’ nel calcio femminile, ma una donna che vuole fare sport, qualsiasi sport, a determinati livelli è destinata a fare una doppia fatica.

valentina petrillo
Valentina Petrillo

Perché hai deciso di rinunciare alle gare in Polonia dopo avere vinto il bronzo nei 200 e nei 400 metri ai Campionati italiani Master indoor di Ancona lo scorso marzo?


Valentina: Alla notizia della convocazione in Polonia si è scatenato un clima di odio che si è trasformato in un muro e io ho dovuto decidere se attraversarlo o no. Questa cosa mi ha stordita e mi ha fatto riflettere a lungo sul da farsi. Non potevo permettermi di perdere di vista l’obiettivo dei giochi olimpici che si terranno a Parigi nel 2024 e ho fatto un passo indietro. Guadagnando i due bronzi ad Ancona ho ricevuto il gettone per le paralimpiadi del prossimo settembre. Questo vuol dire che, nei prossimi mesi, mi aspettano allenamenti, ritiri, convocazioni e gare ufficiali. Da febbraio poi inizieranno gli allenamenti in palestra in cui saranno rilevati i tempi e gli impegni si intensificheranno in vista di settembre.


In conclusione, cosa pensi delle due giornate contro la violenza e la discriminazione?


Valentina: Paradossalmente mi piacerebbe non sentirne più parlare, perché vorrebbe dire che il problema è risolto e che non c’è più bisogno di raccontare di episodi di violenza. Però, finché non siamo a questo punto, continuare a parlarne serve.


Eleonora Poli







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