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BLACKKKLANSMAN


Il nuovo film di Spike Lee resiste in sala da un mese intero. Che meraviglia. Dopo il disastro di Miracolo a Sant'Anna e i riusciti ma decisamente di nicchia Chi-Raq e Da Sweet Blood of Jesus (come? Mai sentiti? Ecco, appunto) finalmente un "joint" commerciale come non faceva dai tempi di Inside Man (2008), capace di sposare l'afflato civile al puro piacere del racconto. Oltre 85 milioni di incassi, i prossimi Oscar sanno chi aspettare..ed è un sollievo; è un sollievo perchè il vecchio Spike - che difficilmente sbaglia un film - si è più volte dimostrato disposto a sacrificare alla purezza ideologica quella di stile, producendo strani ibridi capaci magari di voli fenomenali ma non tanto di legare col grande pubblico.

BlacKkKlansman va assolutamente visto in lingua originale, come tutti i buoni film ma più di tutti i suoi, basati sull'incontro-scontro fra bolle diverse del melting pot e quindi gerghi, codici, slang. E quindi è già gara persa ai titoli di testa fra il nostro stinto "tratto da una fot**ta storia vera!" e l'originario, straight outta Brooklyn, "FROM A FO' REAL! FO' REAL STORY!!!". Non dice balle Spike, la storia di Ron Stallworth (immenso John David Washington) primo poliziotto nero di Colorado Springs, che nel 1979 ebbe l'idea di infiltrarsi nel Ku Klux Klan facendosi impersonare da un partner, è successa PER DAVVERO! anche se lui la romanza, la fa sua. È ad esempio farina nel suo sacco che l'avatar caucasico di Stallworth, il body double la cui vera identità per ragioni di sicurezza non è stata ad oggi resa pubblica, sia un ebreo..

Lee vede in Stallworth un Serpico moderno: come il personaggio interpretato nel 1973 da un leggendario Al Pacino è diverso, appariscente, etnicamente discriminato, in una parola "nuovo". Come lui è la spina (in inglese "spike") nel fianco allo status quo, uno che vuole cambiare le cose non sfogando in violenza la giusta rabbia per le ingiustizie ma con l'intelligenza, la pazienza, il coraggio e dall'interno. Non si può fare peggior ingiustizia a un regista del genere che considerarlo un partigiano ottuso. Questa coscienza d'America riunisce sotto un solo nome due volti, quello di un nero e quello non di un qualsiasi bianco ma di un ebreo non-praticante (Adam Driver) come a dire che chiunque nelle giuste condizioni può sentirsi chiamato in causa, e quelle condizioni si presenteranno.

Così "Ron Stallworth" non è più solo il nome dello sbirro che cambia le cose nel distretto di polizia, ma diventa sigla per l'elemento di disturbo che mette in crisi una società divisa e conflittuale su tutti i suoi fronti. Fra i razzisti del Klan e gli attivisti del Potere Nero la simpatia di Lee è ovviamente per i secondi, ma questo non gli impedisce di accomunarli nella misura in cui entrambi combattono, entrambi gridano, entrambi recintano laddove dovrebbe esserci armonia; mette in bocca agli esponenti dei due gruppi frasi speculari ("sei per la razza bianca amico?" "Fratello, sei per la liberazione del popolo nero?") sullo schierarsi, e dopo aver fatto sentire tutto il fascino vibrante dell'oratoria di un ex-Black Panther gli fa dire a Ron che "non ha bisogno di un uomo bianco" - tutto il contrario dell'idea che anima il film.

Ma il "nero del Klan" è Lee stesso come regista, anzi ancor prima come "storico del cinema" quando ci spiega che la settima arte è nata nella sua forma narrativa moderna e specialmente hollywoodiana con Nascita di una nazione (1915) - apologia del kkk realizzata anche con finanziamenti della stessa organizzazione - e ha raggiunto folgorante consacrazione con un altro grande film razzista come Via col vento (1939). Poi fa un salto di decenni alla Blaxploitation, quella serie B anni '70-'80 in cui i neri sono eroi bigger-than-life come Shaft o Coffey, e che come gli attivisti è guardato con affetto ma senza negare che si tratta di un'altra tappa nello stesso processo di individuazione. Poi guarda al "cinema" di oggi, quello dei filmati amatoriali che mostrano come roghi di croci, raduni col cappuccio, violenza contro manifestanti ed assenso del potere esistano ancora PER DAVVERO!. Con questo film - che aspira anche a una sintesi non stereotipica dell'immagine cinematografica degli afroamericani - Lee ribadisce ciò che ormai da anni intende essere: un "infiltrato" del cinema, alla ricerca di pace fra le parti.

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