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Buen camino


di Luigi Ercolani


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“Voglio camminare da sola!”. Il rimprovero di Cristal a suo padre squarcia il velo della semplice commedia che Buen camino in apparenza rappresenta, e rende invece chiaro quale sia l'autentica natura del nuovo film di Checco Zalone: un romanzo di formazione, ancorché in chiave comica.

Il desiderio di Cristal è il desiderio di tutti gli esseri umani: non dover più dipendere dagli aiuti dei genitori, dimostrare che siamo nelle condizioni di poter, in un determinato punto della vita, camminare da soli.

Per provare a noi stessi e agli altri che possiamo occupare un posto nel mondo in autonomia, che possiamo farcela da soli. Ma è davvero questa, la vita?

Buen camino, per certi versi, mette in crisi tale forma mentis. Non condannandola in toto, certamente, ma mostrandone i limiti, che vengono a galla nel momento in cui essa si sclerotizza e diventa superficiale autoreferenzialità.

È vero sacrosanto, infatti, che ogni essere umano, raggiunta l'età adulta, desideri staccarsi dal nido originale e volare con le proprie ali. Risulta altrettanto evidente, però che a livello antropologico le persone sono, per dirla alla maniera di Aristotele, animali sociali.

La responsabilizzazione dell'età adulta deve quindi procedere di pari passo con la dimensione relazionale degli esseri umani tra loro. Una dimensione che parte anzitutto dalla famiglia, in cui i genitori restano un supporto fino a quando non sono i figli ad accompagnarli verso il tratto conclusivo del loro cammino terreno.

Buen camino è quindi un film che invita anzitutto a riscoprire l'importanza del proprio nucleo di appartenenza, allo stesso tempo mettendo da parte tutte le incomprensioni e i rancori che inevitabilmente si formano. E questo non per un vago perbenismo di maniera, ma per non venire macerati, logorati, dai sentimenti negativi, scoprendo invece quanto è consolante lasciarsi illuminare dalla gioia della riconciliazione.

Zalone e Nunziante si guardano bene, infatti, dal dipingere una famiglia da Mulino Bianco. Anzi, la frattura tra Cristal e suo padre all'inizio è notevole. A provocarla è il carattere di lui: edonista, vanesio, scialacquatore ed unicamente innamorato dei beni effimeri. a la figlia, a cui non manca alcun bene materiale ed è cresciuta, testualmente, “come una pariolina”, ad un certo punto sente che ha bisogno di altro.

Questo “altro” è una sete d'infinito che è possibile estinguere solo andando oltre il sensibile, solo abbracciando quel tempo indefinito a cui l'essere umano, per sua natura, da sempre tende, e che sempre sarà presente nel suo animo. E ciò è vero anche se qualcuno, negli ultimi tre secoli, ha provato e continua a provare a dirci il contrario.

Da questo punto di vista, bisogna sottolineare che Zalone non si era mai spinto tanto in là, nella critica alla società dei consumi. Certo, ogni tanto nei suoi lavori precedenti il tema era emerso, ma non in maniera così marcatamente esplicita.

Allo stesso tempo, però, lo showman pugliese non ha dubbi. Non può essere l'attivismo mondano a placare questa sete, né un vago misticismo religioso o filosofico, né una sterile rivoluzione permanente, né un'avventura esotica con la rete di protezione sotto.

È solo la ricerca di un'autentica spiritualità, infatti, che può offrire ai giovani un'autentica risposta alle domande sull'infinito, ognuno secondo le sue inclinazioni personali. Il messaggio che Zalone lancia con Buen camino appare quindi veramente controcorrente rispetto alla proposta della società attuale. Riuscirci con una commedia, per giunta, era impresa possibile solo ad un autentico talento.


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