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Chiara

di Luigi Ercolani

In una famosa espressione che li riguarda, gli italiani vengono definiti prima di tutto come santi, e solo in seconda battuta poeti e navigatori. Segno, questo, non solo di un forte rapporto con la Chiesa Cattolica, ma anche di una vocazione quasi naturale alla santità da parte della Penisola, e al suo rapporto stretto, quasi intimo, con il Divino.

La regista Susanna Nicchiarelli, con il suo ultimo lungometraggio, compie un'operazione di per sé intrigante: sul grande schermo di santi ne porta due, non uno. Oltre a Chiara, infatti, un ruolo tutt'altro che marginale spetta anche a Francesco, forse il santo italiano più conosciuto, stimato anche da chi è lontano dalla Fede, studiato nei programmi di letteratura italiana, e più volte celebrato dalla settima arte: si pensi al certamente famoso Fratello sole, sorella luna (1972) di Franco Zeffirelli, ma anche a Francesco, giullare di Dio (1950) di Roberto Rossellini, al Francesco (1989) di Liliana Cavani e al più recente Il sogno di Francesco (2016), produzione franco-italo-belga con Elio Germano attore principale.

Di fronte a una produzione così ampia, il rischio di mettere di coprire Santa Chiara con l'ombra di un personaggio cinematograficamente tanto significativo, era alta. La regista, invece, si distingue per intelligenza e bravura, cesellando una struttura che mette al centro la protagonista e ne esalta alla perfezione la figura. Per certi versi, anzi, Francesco e Chiara si fanno luce a vicenda, evidenziando le reciproche qualità.

Fisiologicamente, questa pellicola finisce per affrontare anche un certo atteggiamento eccessivamente protezionista, che spesso tocca il sessismo, verso le donne e il loro mondo. Pur non mancando i motivi di confronto serrato, lo fa tuttavia in maniera discreta, senza toni polemici o addirittura violenti, ma anzi, esaltando quel genio femminile di cui parlò già Giovanni Paolo II nel 1995.

Margherita Mazzucco, già protagonista della serie tv L'amica geniale, tiene lo schermo in maniera efficace, e pur avendo solo vent'anni non mostra alcun tipo tentennamento nell'immergersi nell'interpretazione nella lingua volgare del Duecento. La giovane attrice partenopea restituisce una Chiara ferma nelle sue convinzioni, ma allo stesso tempo rispettosa di una gerarchia ecclesiastica che non di rado a queste ultime è sfavorevole. Quella con il quale lo spettatore si confronta è una Chiara che, tanto per indole quanto per coscienza dei limiti sociali della sua condizione, non va al muro contro muro con le istituzioni, ma preferisce piuttosto tentare la via di una persuasione intelligente e decisa.

Si rivela altresì convincente, in ultima analisi, la scelta di rendere il film musicale, di fare frequente ricorso a danze e canti che richiamano quelli di un'epoca, il Medioevo, che, come dice il professor Alessandro Barbero, è tutt'altro che un periodo buio e nefasto. In questo senso è doveroso fare un plauso al coraggio della produzione della RAI: per fare un esempio, in dodici anni si è passati da un sant'Agostino (originario di Tagaste, una città scomparsa dell'attuale Algeria) interpretato da Alessandro Preziosi a un film, Chiara appunto, che rappresenta invece un evidente segno di discostarsi dal canone classico dei film agiografici. Una volontà di sperimentazione che al cinema italiano può fare solo che del bene.


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