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Il caso Goldman

di Luigi Ercolani

A livello storico, si parla di “Terrorismo Rosso” intendendo quel movimento eversivo di ispirazione marxista che intendeva attuare la rivoluzione permanente teorizzata dal filosofo di Treviri attraverso la guerriglia urbana o singoli episodi violenti. Un tipo di azione che, tra gli anni Sessanta e gli anni Settanta del secolo scorso, ebbe una diffusione in Europa, Asia (tanto in Medio quanto in Estremo Oriente) e America, prevalentemente al Sud ma qualcosa anche in Canada.

In Italia, ad esempio, il pensiero corre immediatamente alle Brigate Rosse, o ai meno conosciuti Gruppi d'Azione Partigiana. Rimanendo nel nostro continente, è tuttavia possibile trovare esempi simili in Germania con la Rote Armee Fraction (meglio nota semplicemente come RAF), in Belgio con le Cellule Comuniste Combattenti, in Francia con Action Directe, in Spagna il Grupo de Resistencia Antifascista Primo de Octubre, nel Regno Unito la Angry Brigade e in Grecia l'Organizzazione Rivoluzionaria 17 novembre.

Paradossalmente ma non troppo, si potrebbe evidenziare come il filone cinematografico che segue questo tipo di terrorismo sia altrettanto ricco quanto le pagine di storia che esso ha vergato. Se in Italia possiamo pensare a Buongiorno, notte (Marco Bellocchio, 2003) e Guido che sfidò le Brigate Rosse (Giuseppe Ferrara, 2007), in Germania abbiamo Gli anni di piombo (Margarethe von Trotta, 1981) e La Banda Baader Meinhof  (Uri Edel, 2008), in Spagna Terroristas (Antonio Gonzalo, 1986) e in Francia A.D. La guerre d'ombre (Laurence Katrian, 2017).

Il caso Goldman si inserisce dunque in un contesto cinematografico già fruttifero. Allo stesso tempo, tuttavia, è un film che aggiunge un punto di vista particolare, come particolare era, d'altronde, il soggetto trattato.

Pierre Goldman fece parte di gruppi organizzati di estrema sinistra unicamente in Sud America, tra Cuba ed il Venezuela, dal quale fuggì nel 1969 dopo una rapina alla Royal Bank of Canada. Ritornato nella natia Francia, pur rimanendo un convinto assertore dell'ideologia comunista la sua militanza politica cessò, e le sue scorribande si limitarono alle rapine per il mero bisogno di sopravvivere, fino a quando non fu incarcerato, ed inizialmente condannato, dopo essere stato accusato di aver compiuto un furto finito in tragedia.

Proprio da tale episodio prende l'abbrivio il lungometraggio in questione, che esplora la dimensione psicologica di un personaggio non facilmente inquadrabile. Militante comunista, ma con un suo codice morale che gli impedisce di uccidere. Francese, ma allo stesso tempo nato da famiglia ebrea originaria della Polonia. Uomo dal percorso scolastico turbolento, ma capace di esprimersi in maniera precisa quando si tratta dei suoi sentimenti. Pieno di pregiudizi verso chi lo processa ma vittima lui stesso di preconcetti semplicistici.

Pierre Goldman emerge da questo film come protagonista stratificato e per certi versi sofisticato, che lotta contro un'istituzione a cui a volte lancia strali offensivi, mentre altre invece le dimostra un rispetto spontaneo e senza secondi fini. Il regista Cédric Kahn, attraverso una costruzione così meticolosa e prismatica del personaggio e con l'ausilio di un genere come quello della cronaca giudiziaria, pare invitare lo spettatore a riflettere su quanto sia cruciale relazionarsi con il prossimo senza preclusioni, lasciando che sia la verità dei fatti a illuminare chi egli sia.

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