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Maleficent - signora del male


di Lorenzo Meloni



Al netto di un comparto spettacolare soltanto nella media, chiassoso nelle scene di battaglia e al limite del kitsch (come già nel primo Maleficent del 2014) in quelle ambientate fra i variopinti abitanti della foresta, con effetti che molto difficilmente sapranno sottrarsi al giudizio del tempo, molto di Maleficent - signora del male sembra in realtà piacevolmente in controtendenza con la generale piattezza dei live-action Disney, di cui si possono capire le ragioni finanziarie (legate al mantenimento del copyright e a incassi sicuri garantiti dall'amore del pubblico per i classici originali) ma che salvo lodevoli eccezioni come il Dumbo di Tim Burton, creativamente sembrano sempre procedere come per inerzia, adagiandosi senza grinta nella ripetizione di emozioni preconfezionate.

Non è che il sequel di Maleficent si allontani da territori già battuti: si tratta sostanzialmente dell'ennesima incursione nel territorio della fiaba classica, col refrain del Vero Amore tipico da sempre della casa del Topo e l'altrettanto classico messaggio pacifista, ma tutto è meno..."annacquato" rispetto alla loro media live-action, fra inaspettate venature dark e un senso di minaccia molto più genuino (la Morte è un rischio concreto, e una scena con protagonista uno sfortunato folletto-soffione richiama quasi la Disney anni '80 più cupa di classici negletti come Basil e Oliver & Co). Una sensazione di refresh ulteriormente enfatizzata dal tentativo da parte dei produttori di espandere il loro mondo di fiaba per puntare in direzione di un fantasy più dettagliato, maturo e perfino politico, più simile alle mappe sconfinate dei prodotti adult-oriented che proliferano da Il Signore degli Anelli in poi che alla chiusura riposante, da librone illustrato a caratteri gotici, cui ci hanno abituato in anni di capolavori.

Ancora, si fanno apprezzare la scrittura lineare ma ritmatissima e dettagliata nelle scene di confronto fra le tre protagoniste, un gusto scenografico più a fuoco e funzionale della media live action Disney (la foresta della prima sequenza quasi horror, il laboratorio del folletto, l'antro asettico e "kubrickiano" della villain pieno di manichini impellicciati), e soprattutto la regia di Joachim Ronning, che ogniqualvolta resta "solo" coi suoi personaggi, quando cioè dialogo e character building prendono il proscenio, sa renderli più memorabili dell'azione, elaborando visivamente i concetti espressi dalla sceneggiatura con una direttezza classica che mancava da un po' di tempo in casa Disney.

Alla dolce Malefica ad esempio, sempre lontanissimo quel 1959 in cui comparve sugli schermi per terrorizzare i bambini di tutto il mondo, rispetto al primo live action di cinque anni fa è però restituita in gran parte almeno la presenza scenica, non meno impressionante nel suo essere volta al bene, e anzi con diverse occasioni di far emergere il suo Lato Oscuro nella prima metà del film. Vederla entrare in scena di spalle con le gigantesche ali semiaperte, imperiosa nello posa quanto nel parlare, o "annunciata" a palazzo dalla sua enorme ombra con le caratteristiche corna, oltre ad essere una goduria per gli occhi prova come il rispetto per i trascorsi di una grande icona del Male possa eccome giovare anche alla sua versione moderna e anti-eroica. Eppure è sulla cattiva di una bravissima Michelle Pfeiffer che Ronning dà il meglio di sè, fin dalla primissima inquadratura in cui prima del volto vediamo le mani che afferrano una balestra, la sollevano e la portano allo zigomo, esponendoci a uno sguardo disneyano di quelli terrificanti delle grandi Streghe del passato, e trasmettendo in due o tre secondi di infallibile cinema l'intero carattere del personaggio. 



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