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Parigi 13Arr.

di Luigi Ercolani


Quando una persona pensa a Parigi i primi elementi che emergono sono naturalmente quelli per i quali la Ville Lumiére è maggiormente conosciuta in tutto il mondo. La Tour Eiffel, il Museo del Louvre, Notre-Dame, l'Arco di Trionfo, Montmartre, Place de la Concorde, il Centre Pompidou o il Museo d'Orsay compongono infatti l'immaginario collettivo relativo di una capitale francese che è percepita come centro culturale imprescindibile e luogo del buon vivere.

Parigi, 13Arr., in questo senso, sposta decisamente l'ottica rispetto a tale diffuso immaginario collettivo, portando in scena una porzione della città profondamente diversa, e lontana dalla cultura e dal lifestyle delle zone più rinomati. Les Olympiades, la zona del tredicesimo arrondissement in cui si svolge la vicenda, si colloca infatti nella cerchia periferica della capitale francese, composta da una caratterizzazione maggiormente popolare, data sopratutto da una stratificazione etnografica alquanto variegata.

Il regista Jacques Audiard si propone infatti di adattare a livello cinematografico i racconti Morire in piedi, Amber Sweet e Hawaiian Getaway del fumettista californiano Adrian Tomine, ambientandoli però in una Parigi che per certi versi ricorda di Leviatano del filosofo Thomas Hobbes. Essa infatti risulta una presenza talmente autoreferenziale e dominante, ma allo stesso tempo anche seduttiva, che al minimo contatto arriva a contaminare l'estrazione popolare e la provenienza da contesti esterni dei protagonisti Emilie, Camille e Nora.

Si instaurano così relazioni che non sono più profonde ed autentiche, ragionate ed esplorate, ma risultano unicamente caratterizzate da uno spirito libertino e da una velocità di stampo usa-e-getta che rendono anche le altre persone, almeno inizialmente, alla stregua di beni di consumo della cui zavorra liberarsi una volta che abbiano esaurito la loro funzione. È la superficialità, pare emergere da Parigi, 13Arr., l'unica strada percorribile per sopravvivere in una città ombelicale, che trangugia tutto e tutti se non si è in grado di tenerne il passo.

Tale forma mentis risalta sopratutto dalla condotta sessuale dei protagonisti, tutti a loro modo refrattari nel creare qualsiasi legame corpo-spirito che vada oltre il semplice soddisfacimento dei bisogni immediati. Una volontà che però non sembra spontanea, ma risulta motivata un po' dalle ferite dell'anima di ogni componente del trio quanto, soprattutto, dall'inconscia convinzione che per tenere i ritmi di Parigi sia cruciale risparmiare le energie, e che dirigere queste ultime verso un'altra persona equivarrebbe a disperderle.

Ancorché dipinga un quadro bieco, Jacques Audiard si rivela tuttavia molto attento nel puntualizzare che nonostante Parigi porti le persone fino all'estremo, poi c'è sempre modo di tornare indietro. Dallo sviluppo narrativo emerge infatti progressivamente che le sinergie che si creano tra elementi siano un fattore necessario per vivere in un contesto tanto competitivo e sfiancante: “il tutto è più della somma delle parti” non è più quindi un aforisma fine a sé stesso, ma una soluzione imprescindibile in grado di sprigionare molte più energie rispetto ad un solipsismo che, in realtà, nel momento in cui si libera del prossimo, si priva anch'esso di qualcosa.

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