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Santocielo

Aggiornamento: 1 gen

di Luigi Ercolani


Nell'epoca della polemica facile, dei social usati come bar della rabbia virtuale dove discutere con toni accesi sia le questioni minime che quelle invece relative ai massimi sistemi, è all'ordine del giorno che un'opera d'ingegno concepita per essere un po' eterodossa risvegli la vis polemica di qualcuno. Non sorprende dunque che anche Santocielo, nuovo film che vede protagonisti Ficarra e Picone, sia finito nell'occhio del ciclone per una rilettura... à la page della Natività.

Nella fattispecie, qualche cattolico ha trovato particolarmente disturbante, ed anzi, apertamente blasfema verso la propria Fede, la scelta di raccontare la storia di un angelo che è incaricato dal Paradiso di far nascere il nuovo Messia, angelo che però, a causa del primo di una lunga serie di equivoci, finisce per ingravidare... un uomo. Un'esplicita concessione, secondo i critici, a quella che è una visione liberal radicalmente modernista che fa invece a pugni con l'autentico messaggio evangelico.

Certo, va ammesso senza remore che, qua e là, durante lo sviluppo della trama ogni tanto il lungometraggio effettivamente presta il fianco a quel progressismo un po' manieristico originario degli Stati Uniti. Nel complesso, tuttavia, si tratta di una produzione non offensiva, e che anzi, paradossalmente riesce a cogliere in nuce alcuni aspetti cruciali del cattolicesimo che spesso sfuggono all'essere umano secolarizzato di oggi.

Non che ci fossero molti dubbi, visto che già con il precedente lavoro, Il primo Natale (Ficarra e Picone, 2019), il duo comico siciliano aveva realizzato un film che, tra una gag e l'altra, fotografava lucidamente il senso del Natale e del racconto biblico. In quell'occasione era stato però fondamentale l'approccio di un Massimo Popolizio come antagonista, ruolo che invece in Santocielo manca. O meglio, è diviso, ma in maniera un po' dispersiva.

Sicuramente il primo “avversario” è il protagonista stesso, Nicola: narcisista, eccessivamente concentrato solo su quelli i suoi bisogni a tal punto da adattare ad essi qualsiasi feedback proveniente dagli altri, sarà solo con la sua condizione di gravido che riuscirà ad imparare come mettersi nei panni del prossimo, tanto da lasciarsi piano piano alle spalle qualsiasi traccia della più o meno velata misoginia che inizialmente lo contraddistingue. Un mutamento che, in barba alle summenzionate contestazioni, potrebbe quasi essere visto come frutto dell'azione della Divina Provvidenza, che nel cattolicesimo opera per volontà di Dio ponendo agli esseri umani prove e sfide, a volte allo scopo di renderli persone migliori.

Il regista Francesco Amato non risparmia critiche neanche alla società dello spettacolo, voyeuristica nella ricerca del prossimo fenomeno, del nuovo evento notiziabile, ma allo stesso tempo eleva ad esempio positivo suor Luisa, semplice nella sua Fede e generosa anche di fronte all'incomprensibile. È proprio quest'ultima che, nel momento in cui definisce la preghiera come strumento per sentirsi in contatto con il Divino, a prescindere che essa sia esaudita o meno, di fatto esprime un messaggio pienamente in linea con il Vangelo, un messaggio che spesso anche molti cattolici dimenticano, vedendo invece in essa o un mero sfogo o un do ut des.

E pazienza se ad incaricarsi di ricordarlo è un'opera eterodossa. In fondo, non è forse vero che le vie del Signore sono infinite?

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