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THE OLD MAN AND THE GUN


di Lorenzo Meloni

" I'm travelling light. It's au revoir. "

Uno degli ultimi versi di Leonard Cohen, perfetto per calare il sipario su un gigante dello storytelling nordamericano. Ma scendi un bel po' di chilometri, scrivi California al posto di Canada, all'acredine yiddishsostituisci gli occhi blu dell'eterna avventura. Andrà bene anche per questo addio. Forse meglio perchè parla di "luce in movimento", un'espressione che calza a Robert Redford da qualunque parte lo si prenda: dal biondo dei capelli al mito davvero senza macchia, ai cento modi in cui la sua vita è stata ed è (il) cinema.

Attore, regista premio Oscar, cofondatore di un festival il cui nome Sundance è in effetti un patronimico. Se scegliere una prospettiva è determinante nell'interrogare un film, e se la scelta deve basarsi su una gerarchia delle intelligenze creative al lavoro, con The Old Man and the Gun è anche troppo facile. Lo gira e sceneggia David Lowery, che in precedenza aveva diretto Redford nel live action Disney del Drago invisibile; ma semplicemente non gli appartiene.

Difatti, quanto a lungo si potrebbe parlarne prima ancora di averlo visto, basandoci esclusivamente su ciò che sappiamo del suo protagonista? Partendo magari da un titolo che cita Hemingway, e con la massima pacatezza sembra dire che la pistola e il suo universo morale - specie al cinema, specie in mano a questo signore - hanno a che fare con l'etos americano quanto l'oceano Atlantico su cui il vecchio Santiago lotta per tre giorni con il marlin?

Proprio di morale parliamo, e di cinema americano; qui dove l'attore-autore di sempre, viso d'angelo e coscienza acuminata, tanto più è "mente" filmica e ideologica dell'operazione quanto più per assurdo sa "regredire" a volto, corpo, gesto. E renderli assoluti. E in un'epoca in cui perfino i supereroi piacciono grigi e irrisolti, chi si aspettava che qualcuno ritenesse ancora possibile un personaggio - così, semplicemente - esemplare?

Forrest Tucker è un rapinatore e un gentleman, "onesto" lavoratore che ama quello che fa e se ne sente realizzato nella più classica tradizione nazionale. Corteggia una splendida settantenne (Sissy Spacek), con la sua banda di formidabili vecchietti (Tom Waits e Danny Glover) mette a segno un colpo dietro l'altro, ma più che terrorizzare l'America la fa sorridere, compreso il detective in crisi di mezza età (Casey Affleck) incaricato di assicurarli alla giustizia, con cui intrattiene un rapporto quasi epistolare.

"Sembrava..felice". Si può fare un film senile che guarda alla morte col sorriso? Tanti grandi old timers sembrerebbero smentire. Il Duca Wayne se ne andò male, nel sangue proprio e altrui, con Il pistolero di Don Siegel. Huston chiuse con tre capolavori (Sotto il vulcano, L'onore dei Prizzi, The Dead) che puzzano letteralmente di morto. Johnny Cash rifece Hurt. Perfino Clint Eastwood sentì in Gran Torino il bisogno catartico di fare i conti col lato buio della sua luna, mentre il prossimo The Mule che tutto lascia supporre nuovamente testamentario parlerà di un vecchio corriere che trasporta, ignaro, un carico mortale..

Però nessuno di loro è Sundance Kid. I momenti migliori in The Old Man and the Gun sono quelli con Tucker/Redford che si stiracchia al sole caldo e così affine al suo mito della sua casa in campagna. Quando gli chiedono se c'è un motivo per cui l'ha presa in vista di un cimitero risponde di no, e si può credergli. Del resto "per quelli che han vissuto con la coscienza pura/ l'inferno esiste solo per chi ne ha paura", e qui non solo non c'è distanza morale fra bandito e poliziotto - l'abc del cinema outlaw - ma addirittura l'inseguimento diviene tensione emulativa. Casey Affleck, che ha i baffi e le basette corte del Kid, non è un nemico ma un allievo, meglio ancora un figlio.

Il film non si ferma al duello romantico fra i due e sfrutta fino in fondo le qualità solari del suo protagonista. Che sorge periodicamente dal buio (16 evasioni); "fa quello che fa perchè è quello che è" con la naturalezza con cui Warren Beatty e Faye Dunaway dicono "Noi rapiniamo banche"; irradia di sè i volti-girasole del cast, che in un continuo gioco di rimandi hanno tutti in precedenza interpretato fuorilegge o poliziotti. Dona frutti concreti, attualissmi, urgenti come la splendida famiglia interraziale del detective e la capacità di tranquillizzare con la gentilezza un uomo spaventato o una donna in lacrime, in un apprendistato criminale che da catch me if you can diventa be me if you can, che da comuni mortali visitati dal divo più schietto ed umano ci sprona a diventare a nostra volta luce in movimento.



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