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F1

di Luigi Ercolani


“Basterà anche solo un episodio perché lo spettatore si chieda cosa possa spingere una persona sana di mente ad infilarsi in un abitacolo stretto e a lanciarsi a velocità inusitate su piste vieppiù letali per competere con altri come lui, per giunta rischiando letteralmente la propria vita ad ogni singola gara”.

Questo è ciò questa rubrica aveva scritto in occasione del film Gran Turismo, riprendendo poi il medesimo concetto in merito a Ferrari. La risposta la offre, benché parzialmente com'è naturale che sia, il lungometraggio chiamato, semplicemente, F1.

Un film per certi versi autopromozionale, è inutile negarlo. Non potrebbe essere altrimenti, dal momento che sono stati coinvolti numerosi tra i protagonisti, soprattutto piloti e team principal, del campionato automobilistico per antonomasia.

Tuttavia ciò che si scorge grattando la superficie è che non si tratta di un'opera il cui scopo è unicamente tirare l'acqua al proprio mulino. Anzi, la sensazione, man mano che si procede, è che si voglia anzitutto offrire, pur romanzato, uno sguardo al dietro le quinte.

Un dietro le quinte sulle dinamiche, certamente. Nella fattispecie, trovano spazio gli interessi economici di uno sport professionistico tanto redditizio, i rapporti con le istituzioni e il progresso tecnico e tecnologico che ha permesso di tamponare i potenziali rischi sul circuito.

Tutto ciò è un arricchimento per lo spettatore, soprattutto per chi non segue la Formula 1 o, viceversa, per quegli appassionati che non sono mai andati oltre la serie di GP visti la domenica. Elementi, questi, che contornano un film che tuttavia si preoccupa anzitutto di mettere al centro l'essere umano.

Una scelta che di per sé non appare affatto sorprendente. In fondo, come si diceva, i piloti di F1 sono persone che sfidano l'imprevisto in una competizione che ha luogo a velocità elevatissime con seri rischi per l'incolumità degli stessi.

Ma l'interrogativo iniziale rimane. Perché qualcuno dovrebbe, in piena coscienza, volersi porre in condizioni tanto disagevoli, sfidando la morte ogni volta che sale su una vettura concepita per affrontare velocità pazzesche?

Per ambizione personale, risponderà qualcuno. Sicuramente, ma allo stesso tempo F1 restituisce l'idea che i piloti decidano di assumersi in prima persona questo rischio anzitutto per sprezzo del pericolo.

Uno sprezzo che, beninteso, non è affatto sottostima del valore della propria vita. Anzi, al contrario, è proprio rifiuto di un'esistenza comoda, da divano, per affrontare e vincere i limiti imposti dalla natura.

Come novelli Ulisse della Divina Commedia i piloti di automobilismo, ed in particolare quelli di Formula 1 per la pressione popolare a cui sono sottoposti, oltrepassano le colonne d'Ercole della logica umana per abbracciare, ogni volta, quella della sfida al possibile. Una sfida il cui esito è sempre incerto, anche con tutte le misure di sicurezza che via via sono state predisposte in virtù dei numerosi incidenti costati la vita a tanti nella storia di questa competizione.

Proprio qui, in fondo, risiede il fascino di tale sport. Non solo per gli appassionati, ma anche e sopratutto per coloro che a questi appassionati sono chiamati a regalare, domenica dopo domenica, emozioni indimenticabili.

Ma i primi che queste emozioni le vivono, e anzi le desiderano in prima istanza, sono i piloti stessi. In fondo non è forse vero, come diceva Oscar Wilde, che l'emozione per amore dell'azione è lo scopo della vita?

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